Giulio Quaglio

Il sacrificio di Melchisedec, Il sacrificio di Isacco e Il sacrificio di Abele

Davvero notevoli sono le differenze di stile che distanziano la Terza Sagrestia della Basilica di san Martino dalla precedente: là una decorazione piena, carica di simboli e rimandi allegorici e catechistici; qui una dimensione estetica meno didascalica, dove il carico dei significati si alleggerisce per lasciare il posto all’elemento decorativo. Si è passati, nel volgere di pochi anni, dall’esuberanza dell’arte barocca all’insinuarsi della raffinatezza del rococò, portatrice di una nuova poetica del “bello”, visto come piacevolezza ed eleganza ricercata.
La Terza Sagrestia si presenta ampia, luminosa, di grande respiro, con una studiata parsimonia degli ornamenti, coperta di bancali dalle tarsie raffinatissime e dominata dal ricco portale e dalla corona di stucchi, che riveste con raffinatezza il cornicione ed il soffitto a volta. Non un luogo concepito per la preghiera o la meditazione, ma piuttosto una sala di ritrovo e di rappresentanza: qui avveniva il Capitolo della Chiesa di San Martino, qui i chierici, con le personalità e i notabili di Alzano, sostavano prima delle sacre funzioni.
L’ambiente ha forma rettangolare ed è coperto da una volta a botte divisa in tre campate, riprese dalle lesene sulle pareti laterali. Tutti gli elementi architettonici del soffitto sono coperti da statue e decorazioni a stucco, opera della Bottega dei Sala.
Sulle due pareti lunghe, i ventinove scanni, opera della bottega dei Caniana, sono realizzati come bancali continui. Stupendi nel loro raffinato naturalismo sono gli intarsi che presentano una ricca varietà di fiori e frutti, strumenti musicali, paesaggi fantastici, giochi infantili, in alcuni casi arricchiti da delicati inserti in madreperla.
A completare l’apparato decorativo, nel 1727, Giulio Quaglio fu chiamato a realizzare gli affreschi del soffitto con angeli e scene tratte dall’Antico Testamento.

L’artista

L’ARTISTA

Giulio Quaglio nacque a Laino in Val d’Intelvi nel 1668 da una famiglia d’artisti di origine comasca. La sua formazione avvenne a Bologna dove fu allievo di Marcantonio Franceschini (che fu maestro anche del Cifrondi, l’autore dei dipinti della Seconda Sagrestia alzanese). Nella città felsinea ebbe modo di studiare l’opera dei Carracci e di Guido Reni. Un soggiorno a Parma gli consentì di conoscere i modi di Correggio e uno a Venezia di osservare le opere cinquecentesche di Tintoretto e Tiziano e nello stesso tempo di raccogliere i nuovi orientamenti pittorici presenti nella città lagunare. La sua prima commissione documentata ci porta ad Udine, dove, nel 1692, Quaglio fu incaricato di affrescare lo scalone e la sala d’onore del palazzo della famiglia Strassoldo e il Palazzo Della Porta con l’annessa cappella. Nel 1694 Giulio affrescò la Cappella del Monte di Pietà e nel 1696 fu impegnato nella realizzazione degli affreschi dello scalone e del salone del palazzo della famiglia Piccoli.
Nel 1697 iniziò i lavori nel Palazzo Antonini-Belgrado (oggi palazzo della Provincia), affrescando lo scalone sul cui soffitto fu rappresentata la Verità che mette in fuga le tenebre del paganesimo ed il salone d’onore con la Caduta di Fetonte. Nel 1699 realizzò gli affreschi della volta della Chiesa di Santa Chiara.
Nel 1702 dipinge la Gloria celeste sul soffitto della navata del Duomo di Gorizia.
Nel 1703 insieme al suo allievo Carlo Innocenzo Carloni (che più tardi lascerà significative opere a Bergamo) si recò a Lubiana, dove realizzò l’importante commissione della decorazione ad affresco della cattedrale.
Dopo aver eseguito diversi lavori in Austria, è a Bergamo, dove, dal 1709, opera, soprattutto in provincia, per dieci anni, con puntate lavorative anche nel comasco, nel bresciano ed in Svizzera.
A Bergamo nel 1712 esegue gli affreschi delle volte della sagrestia della Chiesa di Sant’Alessandro in Colonna e nel 1717, nella chiesa parrocchiale di San Paolo d’Argon, dipinge i tondi a fresco con episodi delle vite di San Paolo e San Benedetto da Norcia.
Nel 1720 l’artista comasco tornò a Lubiana accompagnato da uno dei suoi sette figli, dei quali tre pittori. Durante il ritorno dipinge nella Cattedrale di San Giusto a Trieste.
Quello in terra slovena è il suo ultimo soggiorno all’estero.
La sua ultima attività si svolse infatti soprattutto in Lombardia, dove lasciò ancora dei «cicli d’affreschi di buona fattura e forte impatto emotivo» a Stazzona (1726), Castiglione Intelvi (1726), Esine (1727), Alzano Maggiore (1727), Lugano nel 1729. La pala d’altare per Villa d’Adda, del 1749, è il suo ultimo lavoro documentato.
Giulio Quaglio morì nella sua Laino il 3 luglio 1751, minato da «un grave impedimento che aveva in gola» e che gli rese impossibile assumere l’ultima comunione. Per suo espresso desiderio fu sepolto nella chiesa di S. Lorenzo a Laino d’Intelvi.
La produzione pittorica di Quaglio partecipa di una grazia e leggerezza pittorica già tipicamente settecentesca, caratterizzata dal tentativo di trasportare i soggetti pittorici oltre i limiti della struttura muraria, spesso senza ricorrere allo sfondato architettonico, ma grazie alla leggerezza diafana della pennellata.

Il sacrificio di Melchisedec - Giulio Quaglio

L’opera e il significato

Nella Terza Sagrestia della Basilica di San Martino Quaglio realizza gli affreschi del soffitto. Lungo l’asse centrale della volta stanno i riquadri (nell’ordine, provenendo dalla Seconda Sagrestia) con Il sacrificio di Melchisedec, Il sacrificio di Isacco e Il sacrificio di Abele e nei pennacchi sei angioletti in cielo fra le nuvole, che recano una serie di oggetti liturgici (calice e patera, turibolo, coppa, anfora, incensiere, aspersorio e secchiello).

Gli oggetti rituali e i temi tratti dal Libro della Genesi sono chiari richiami al sacrificio di Cristo, il cui donarsi salvifico si rinnova nella liturgia eucaristica.

Infatti sia Abele (Gn 4; 2-8) che Isacco (Gn 22; 1-18) sono immagini imperfette del sacrificio del Figlio sul Golgota.

Per quanto riguarda Melchisedec (Gn 14; 18-20) appare significativo che l’antico sacerdote ricevendo Abramo offra pane e vino al Signore, come fece Gesù nell’Ultima Cena istituendo l’eucaristia. Melchisedec è quindi prefigurazione di Cristo nel suo ruolo sacerdotale. Di questo  parla anche la Lettera agli Ebrei (Eb 7; 1-3).

Le tre figure dipinte dal Quaglio si ritrovano durante la celebrazione eucaristica nel memoriale dell’Anamnesi. In essa infatti si recita “Volgi sulla nostra offerta il tuo sguardo sereno e benigno, come hai voluto accettare i doni di Abele, il giusto, il sacrificio di Abramo, nostro padre nella fede, e l’oblazione pura e santa di Melchisedec, tuo sommo sacerdote”.

 

Il sacrificio di Abele - Giuglio Quaglio

a cura di Riccardo Panigada (Conservatore del Museo d’Arte Sacra San Martino)