Antonio Cifrondi

Transito di Giuseppe

La tela, insieme a quella raffigurante Tobia e l’angelo, è oggi conservata presso il Museo d’Arte Sacra San Martino, ma proviene dalla piccola Chiesa della Trasfigurazione di Nostro Signore a Brumano, edificio seicentesco che sorge nella valletta del torrente Nesa, lungo un’antica strada mercantili.

L’ARTISTA

Antonio Cifrondi nacque a Clusone l’11 giugno 1656. Qui QuiNella sua Clusone Cifrondi ebbe i primi rudimenti del disegno; “Dimostrò sin da fanciullo” scrive il Tassi “spirito ed ingegno grandissimo e … tutto dì schiccherava figure ora sui muri ora sulle carte…“.
Dopo gli iniziali studi con un pittore locale, Antonio si recò a Bologna, alla scuola del Franceschini, potendo usufruire di una delle “borse di studio” che ogni anno venivano messe a disposizione di giovani di famiglia povera.
Agli inizi degli anni Ottanta, Antonio decise di effettuare un viaggio in Francia, alla Grande Chartreuse di Grenoble e poi a Parigi, dove forse conobbe il pittore Charles Le Brun, dalla cui pittura sarà influenzato.
Dal 1688 l’artista è a Bergamo e sono iniziate per lui le committenze (soprattutto religiose) che si susseguiranno sempre più intense in tutta la bergamasca fino almeno alla fine del primo decennio del Settecento. Del 1690 sono le sue prime opere conosciute tuttora esistenti, la Fuga in Egitto e il Transito di San Giuseppe a Cerete Basso. Agli stessi inizi degli anni Novanta sono databili con sicurezza le pitture murali del soffitto della Seconda Sagrestia della Basilica di San Martino ad Alzano Lombardo. I nove affreschi che ornano la volta vennero realizzati da Antonio Cifrondi probabilmente immediatamente dopo l’esecuzione degli stucchi da parte dei Sala e sono quindi databili al 1692 circa. All’interno delle barocche sagome mistilinee vengono raccontati episodi tratti dai Vangeli della Passione e della Resurrezione.
All’inizio del nuovo secolo Cifrondi decise di farsi ospitare nel convento dei Canonici Regolari di Santo Spirito in Bergamo in cambio di una larga produzione di dipinti. Tuttavia alla fine del primo decennio del Settecento il Cifrondi, dovette spostarsi spesso per eseguire le varie committenze. “Passato poscia in casa Zanchi nell’anno 1712” – racconta il Tassi – “cominciò le grandiosissime opere delle quali è ripieno tutto quel loro nobile appartamento di campagna, che hanno nella terra di Rosciate; e quivi per quattro e più anni sempre dipingendo si trattenne“. Questo ciclo segna la nascita di nuovi stimoli e nuovi interessi per una pittura di genere. La decorazione della Villa di Rosciate era assai vasta e comprendeva soggetti storici e mitologici, soggetti sacri, ritratti e figure “di genere”. Intorno al 1720 avviene poi il trasferimento del pittore a Brescia; qui eseguì in particolare piccole opere da cavalletto che caratterizzano la sua ultima stagione artistica: i Vecchi, le Stagioni, i Mestieri, incredibile galleria di personaggi solitari e disperati. Il periodo bresciano dell’artista si presenta quindi come un decennio in cui la committenza privata e laica prevalse di gran lunga su quella pubblica e religiosa.
Cifrondi passò gli ultimi anni della sua vita presso il Monastero dei Santi Faustino e Giovita a Brescia, dove morì il 30 ottobre 1730. 

L’OPERA

L’opera, per gli aspetti stilistici e tecnici, risulta databile agli anni della maturità dell’artista. Come documentato nello studio dedicato all’opera di Cifrondi da Paolo Dal Poggetto nella raccolta de “I pittori bergamaschi”, alla data della pubblicazione, 1982, le tele del pittore clusonese a Brumano erano in numero di quattro. Si trattava del Transito di Giuseppe, di Tobia che ridona la vista al padre, del Sogno di Giuseppe e di una Annunciazione. Disgraziatamente agli inizi degli anni Novanta queste ultime due opere sono state oggetto di furto e di loro si è persa ogni traccia. Restavano, nella piccola sagrestia, le due tele che vennero portate per salvaguardia nei depositi del museo alzanese. Solo recentemente, grazie alla generosità della Fondazione Credito Bergamasco, i due interessanti dipinti, che versavano in condizioni oltremodo difficili, sono stati oggetto di opera di restauro che ha consentito di tornarne ad ammirare la qualità.

Il tema della morte di Giuseppe è assai caro a Cifrondi (ed alla sua epoca). L’artista seriano ne realizzò infatti numerose varianti. Una di queste, in precarie condizioni di conservazione, è conservata nella sagrestia della Parrocchiale di Nese.

Secondo il Protovangelo di Giacomo, Giuseppe lasciò questa vita ben prima dell’inizio della missione pubblica di Gesù e fu assistito nella sua agonia da Gesù stesso e dalla Vergine Maria.

Cifrondi inquadra la scena frontalmente, ponendo l’osservatore ai piedi del letto di morte di Giuseppe. Questi indossa una semplice veste bianca, come bianchi sono il lenzuolo ed il cuscino, immagini del candore e della purezza d’animo del padre putativo del Cristo. Una coperta verde in primo piano rappella simbolicamente il tema ella Speranza. Il volto emaciato del vecchio si rivolge fiducioso al Figlio: Gesù (il colore delle cui vesti denota nel rosso e nel blu la sua doppia natura umana e divina) si china sul padre morente. Con una mano indica il Cielo: la posizione delle dita è un antico richiamo al dogma trinitario e alla doppia natura del Cristo. L’altra mano stringe il polso di Giuseppe; anche qui si tratta di un antico gesto, risalente all’iconografia medievale e significa il sorreggere, l’aiutare, il proteggere: quindi il condurre Giuseppe verso un’altra superiore Vita.

Come spesso avviene nel Cifrondi di quest’epoca, lo sfondo è abbastanza uniforme, caratterizzato dalle luce dorata che, squarciando le oscure brunastre nubi, scende, fra volti d’angeli appena accennati, ad illuminare ed accogliere l’anima di Giuseppe.

Se Gesù siede alla destra di Giuseppe, posizione priorità, non ha meno importanza la figura di Maria, che sul lato opposto, in atteggiamento compunto, alza il volto dalle tipiche fattezze cifrondiane verso il Cielo, implorandone l’aiuto. Come spesso in quell’epoca il ruolo di Maria è determinante nel suo essere intermediatrice fra l’umano e il divino.

Dal punto di vista esecutivo notevoli e tipici del pittore i tocchi pastosi di biacca che creano giochi d’ombra e guizzi di luce nel bianco del lenzuolo in primo piano.

Antonio Cifrondi - Angelo Custode

a cura di Riccardo Panigada (Conservatore del Museo d’Arte Sacra San Martino)