Louis Dorigny

San Rocco e San Sebastiano

La prima cappella che si apre sulla navatella destra della Basilica di San Martino è dedicata a San Cristoforo. L’altare con i suoi stupendi intarsi marmorei, opera della bottega dei Baroncini, fu progettato da Giovan Battista Caniana. La pala centrale con il Martirio di San Cristoforo è di Giovanni Battista Piazzetta e venne completata, alla morte del pittore veneziano, dal suo allievo Giuseppe Angeli.
Ai lati dell’altare sono collocati due quadri rappresentanti l’uno San Sebastiano e l’altro San Rocco, ambedue opera di Louis Dorigny che li realizzò nel 1709.
La cappella successiva presenta l’altare del Crocifisso, caratterizzato da una struttura grandiosa e severa, col suo fondo in marmo nero di Gazzaniga su cui si stagliano i riquadri in alabastro. Venne eseguito anch’esso dai Baroncini, fra il 1733 e il 1748, in sostituzione di un precedente altare dedicato a San Rocco. Probabilmente i dipinti di Dorigny vennero inizialmente realizzati per questa cappella e solo più tardi, dopo le ristrutturazioni degli anni trenta del Settecento, spostate nell’odierna collocazione.
San Sebastiano e San Rocco costituivano insieme a San Cristoforo una triade assai cara alla sensibilità e alla devozione popolare dell’epoca. San Rocco infatti proteggeva dalle pestilenze e dalle epidemie in generale e San Sebastiano dalle ferite da taglio (non dimentichiamo che oltre alle frequenti guerre abbiamo a che fare con una società ancora in gran parte contadina, dove fra roncole e falcetti …). Infine San Cristoforo è il protettore dei viaggiatori e quindi delle attività mercantili su cui si era fondata gran parte della ricchezza alzanese.

L’ARTISTA

Figlio del pittore francese Michel Dorigny, pittore di Corte di Luigi XIII, e nipote del grande Simon Vouet, Louis Dorigny nasce a Parigi nel 1654.
In patria fu allievo di Charles Le Brun, ma già nel 1671 è documentato in Italia, dove passò il resto della vita, tranne un soggiorno parigino (1704-06) e uno viennese (1711-12), in seguito ad una chiamata da parte del principe Eugenio di Savoia. Nel 1678 Dorigny raggiunse Venezia, dove divenne l’artista più richiesto dalle ricche famiglie che avevano di recente acquisita la nobiltà, quindi, nel 1687, si recò a Verona, dove si stabilì definitivamente, contribuendo al rinnovamento della pittura locale. Dorigny fu autore soprattutto di tele di soggetto mitologico e allegorico e di importanti decorazioni ad affresco (di carattere profano, come quelle del salone centrale di Villa Almerico-Capra, il capolavoro architettonico di Palladio, presso Vicenza, di Villa Allegri a Grezzana, di Villa Manin a Passariano, di Palazzo Giacomelli a Treviso; o religioso, tra cui quelle del coro del Duomo di Udine e quelle, oggi perdute, per il Duomo di Trento).
Louis trattò i suoi soggetti, sia profani che religiosi, con stile enfatico, passando dalla tradizione romana di Maratta al colorismo manierato dei settecenteschi veronesi, non senza, a volte, riuscire a riecheggiare la spigliatezza decorativa di Luca Giordano. Le sue pitture presentano un luminoso colorismo di carattere ormai pienamente rococò e una certa grazia mondana, anche se spesso un po’ convenzionale, valse a renderlo famoso tra i suoi contemporanei.
Dorigny si spense a Verona il 29 novembre 1742 e fu sepolto nella chiesa di San Bartolomeo in Monte.

San Sebastiano - Louis Dorigny

L’OPERA E IL SIGNIFICATO

Le due tele di Dorigny presentano un taglio compositivo verticalistico e sono caratterizzate dalle vivaci linee sinuose ascendenti e dal forte patetismo degli atteggiamenti, caratteri questi tipici della rappresentazione barocca.
L’uso di raffinate combinazioni coloristiche basate sul richiamarsi di tinte complementari e il loro stagliarsi su di un fondo blu intenso rischiarato da striature luminose e dagli angioletti svolazzanti è un altro elemento specifico che accomuna i due dipinti.
San Rocco (di Sebastiano parleremo in altra occasione) nacque a Montpellier nel sud della Francia tra 1345 e 1350 da una famiglia benestante. In particolare la madre lo indirizzò verso una salda fede cristiana. Le sue numerose agiografie narrano che, alla morte dei genitori, ventenne, Rocco, dopo aver distribuito ai poveri i suoi averi, s’incamminò per voto in pellegrinaggio verso Roma. L’iconografia tradizionale e lo stesso Dorigny lo rappresentano con l’abbigliamento tipico dei pellegrini dell’epoca. Percorsa la Via Tolosana e superato il Colle del Monginevro, il giovane giunse in Italia e imboccò la Via Francigena che lo portò a superare gli Appennini e ad arrivare in Toscana. Questo percorso in terra italiana avvenne durante l’epidemia di peste che investì il paese negli anni 1367 e 1368. Rocco (che già a Montpellier nella sua infanzia aveva conosciuto il terribile flagello) anziché rifuggire i luoghi ammorbati si prodigò a soccorrere i contagiati.

Giunto ad Acquapendente presso Viterbo si fermò a curare i malati e, invitato da un angelo a benedire gli appestati con il segno della croce, li guariva al solo toccarli. La sua capacità taumaturgica estinse ben presto l’epidemia. Dopo essere stato in numerose altre città, operando altre miracolose guarigioni, si stabilì a Roma, dove lo stesso pontefice rimase ammirato dalla fede e dalle qualità del giovane.
Dopo tre anni intraprese il viaggio per tornare alla sua terra, ma giunto a Piacenza, mentre come di consueto assisteva gli ammalati, venne contagiato egli stesso. Andò quindi a vivere lungo il fiume Trebbia, dove, abbandonato da tutti sembrava destinato a morire di fame.
I racconti agiografici narrano a questo punto che sarà un cane durante la sua lunga degenza a provvedere quotidianamente a portargli come alimento un pezzo di pane sottratto alla mensa del padrone, un ricco signore del luogo. Questi, incuriosito, seguì il suo cane per i tortuosi sentieri tra i boschi della riva e giunse alla capanna di Rocco. Dopo averlo soccorso e curato, il nobile signore fu talmente commosso e ammirato dalle sue parole che cedette anch’egli ai poveri i suoi averi e si ritirò in preghiera in quella capanna. Tornato in città, prima di riprendere la strada per il ritorno in patria, Rocco liberò Piacenza dalla pestilenza, guarendo uomini e … animali (era riconoscente al cagnolino).
Giunto presso una città (probabilmente Voghera), stanco e lacero, venne scambiato per una spia e condotto dinanzi al governatore. Questi, che era in realtà suo zio, non lo riconobbe. Rocco non si svelò nemmeno quando, senza processo, finì in carcere dimenticato da tutti.
La prigionia fu vissuta dal santo nel desiderio di essere lasciato nella solitudine ad una vita di privazioni e preghiera. La morte lo raggiunse la notte tra il 15 e 16 agosto di un anno oscillante tra il 1376 e 1379.
L’annuncio della morte di un innocente commosse la cittadinanza e il compianto aumentò quando una vecchia dama, la nonna di Rocco e madre del governatore, lo riconobbe finalmente come il nipote. Presso il suo corpo esanime venne ritrovata una tavoletta, sulla quale erano incisi il nome del giovane e le seguenti parole: «Chiunque mi invocherà contro la peste sarà liberato da questo flagello».
Il culto di San Rocco ebbe un’incredibile diffusione e nel Cinquecento papa Gregorio XIII introdusse il suo nome nel Martirologio Romano. Il santo venne invocato nei secoli a seguire (ed è invocato tutt’oggi) come protettore contro la peste, le epidemie in generale e molte calamità naturali. Inoltre Rocco è protettore dei pellegrini, dei viandanti e dei volontari.

San Rocco - Louis Dorigny

a cura di Riccardo Panigada (Conservatore del Museo d’Arte Sacra San Martino)